Twitter e la morte di Scalfaro: cosa è successo e perchè il giornalismo non è morto

Premessa. Sono una giornalista di un’agenzia di stampa, uso Twitter e Facebook per lavorare e se riattivo questo blog per tanto tempo dormiente è perchè  sono a casa con la bronchite e non ho una beata fava da fare, se non stare su internet, leggere e guardare la tv ( una pacchia, insomma…).

Il motivo che mi spinge a scrivere senza essere pagata (come fanno molti colleghi con passione e come ho fatto io per anni, nota polemica #1) è una questione che mi sta a cuore. Ovvero: il senso del fare i giornalisti, in un’agenzia di stampa per giunta,  nell’era di internet.

Lo spunto arriva, manco a dirlo da Twitter, strumento che esiste da anni, ma che gli italiani e i media mainstream hanno scoperto in questi giorni con la conseguente totemizzazione insopportabile (nota polemica #2).

Accade che questa mattina, mentre nelle redazioni delle agenzie di stampa, delle tv all news e dei siti internet mainstream – in una tarda apertura domenicale, magari –  si procede  alla rassegna stanca dei giornali cartacei (nota polemica #3), su Twitter si diffonde la voce incontrollata che l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro sia morto. L’hashtag #scalfaro, tra tweet e retweet, diventa immediatamente trendtopic. I media mainstream sono silenti. Insomma in Rete la news gira già intorno alle  9 e il lancio dell’Ansa, principale agenzia di stampa italiana e tradizionale punto di riferimento per l’ufficialità delle notizie (nonchè mia ex azienda) arriva alle 9,45.

Un bel ritardo di 45 minuti. E questo ha portato molti twitteri italiani a sentenziare la morte delle agenzie di stampa e del giornalismo professionale. Al che mi sono girati i cosiddetti, perché la questione a mio avviso é molto più complessa.

Questo è un caso che potrebbe essere portato a esempio nelle scuole di giornalismo e anche nelle redazioni (dove dovrebbe essere imposto un sano aggiornamento professionale, nota polemica #4).  Siccome sono un po’ una rompic…, mi sono presa la briga di capire quale fosse la fonte della notizia (ma non è questo che dovrebbe fare un giornalista, internet o no? nota polemica #5). Ebbene tutto  è nato da un tweet di Alberto Gambino, che recita così “Con un sorriso ci ha lasciato il presidente Scalfaro”. Ore 9 circa. Il tweet viene rilanciato dal blog Nomfup (http://nomfup.wordpress.com/),  collettivo che si occupa di temi politici.

Alberto Gambino è infatti un noto collaboratore e amico di Scalfaro, quello che nelle scuole di giornalismo si chiamerebbe fonte primaria, mi pare. Da lì si è sparsa per la Rete, che l’ha presa per buona, quasi in toto. Chi non l’ha fatto sono stati i giornalisti, in particolare due giornalisti noti twitter addicted come Simone Spetia (Gruppo Sole 24 ore) e Mario Adinolfi (Europa, tra l’altro – aggiornamento – mi viene detto che all’inizio l’ha presa per buona, rilanciandola anche lui su twitter, poi si è fatto venire i dubbi, ma poco cambia). Che cosa hanno fatto i due? Hanno chiesto su Twitter a Nomfup la conferma, la fonte. Nomfup risponde: il tweet di Gambino, noto collaboratore, bla, bla, bla….ma la notizia è da verificare, HOLD (nel gergo giornalistico tieni pronta l’urgente, che appena hai la conferma la spari in rete…cazzo).

A quel punto Spetia e Adinolfi si attivano (e con loro anche altri giornalisti) per  VERIFICARE. Sappiamo che Gambino è un collaboratore di Scalfaro, ma chi ci dice che ci sia lui dietro quel profilo twitter, che qualcuno non gli abbia hackerato il profilo, fregato il cellulare, fatto un scherzo di cattivo gusto? Lo stesso Adinolfi ipotizza che sia un fake. Mettiamoci pure che è domenica mattina, e le agenzie, Ansa a parte, aprono un po’ più tardi e le fonti ufficiali (Senato, parenti, collaboratori… magari non rispondono dormono, piangono, fanno la doccia). Insomma la notizia diventa ufficiale alle 9,45, minuto più minuto meno, sull’Ansa, su Corriere.it  e pure su Twitter, dove a confermarla è un certo @debortoliF. (Vedere anche Update in basso).

Seguono sul medesimo social network strali contro il giornalismo professionale, la casta, il dilettantismo, le agenzie di stampa, i media ufficiali, bla, bla e bla.

Facciamo un passo indietro. Facciamo finta che io sia il disgraziato cronista che si fa l’apertura della domenica mattina.  Facciamo finta che  io leggendo il tweet di Gambino, lo voglia rilanciare come una notizia, mettendoci la firma mia e della mia testata. Lo potrei fare? LA RISPOSTA E’ NO, CAZZO.

E questo non è un limite, ma il senso dell’essere giornalisti. “Be the first, but first be right” è il motto di una nota agenzia di stampa internazionale (la mia attuale azienda). La verifica è il cuore del giornalismo. Altrimenti si diventa complici di una informazione scorretta.  Spetia e Adinolfi hanno reso trasparente attraverso i loro scambi di tweet come funziona il processo di verifica, che probabilmente si è svolto allo stesso modo nella redazione dell’Ansa o in quella del Corriere.it. o di altre testate che non sto qui a citare, ma che sicuramente lo hanno fatto. Il punto è che la verifica richiede tempo ed è soggetta a imprevisti.

Il processo di verifica delle fonti e delle veridicità delle informazioni è il motivo per cui ha ancora senso il giornalismo professionale, di mestiere, o insomma il giornalismo in se’, chiamatelo come volete, che il mezzo sia l’agenzia, la carta, il web. Perché mai io dovrei pagare per una cosa che posso leggere prima su Twitter, si chiedono i talebani del web che sentenziano la morte del giornalismo professionale? A parte il fatto che i twitteri spesso non fanno che rilanciare notizie prese dai siti web e quotidiani online che a loro volta le riprendono dalle agenzie di stampa (nota polemica #6), la questione è un’altra. Twitter è una miniera d’informazioni e spunti, può metterti in contatto con fonti di prima mano, ma questo non prescinde dal verificare, dal cercare conferma.

E’ uno sforzo in più che chi lavora nell’informazione DEVE fare (non serve essere studiosi dell’informazione lo scrissi pure io, in tempi non sospetti, due anni fa, qui http://daily.wired.it/news/internet/il-giornale-di-twitter-e-la-pubblicita.html., nota polemica #7) e molti lo stanno facendo.Alla classica rassegna stanca va affiancata una bella rassegna dei tweet ( e questo comporta anche investimenti in personale, in formazione, care aziende editoriali,  e un po’ d’impegno, cari colleghi restii a considerare i social network come fonti, nota polemica #8).

Il passo successivo secondo me sarà cercare di utilizzare lo strumento come mezzo di diffusione ufficiale da parte dei media tradizionali (  chiamateli come vi pare, con questo intendo chi fa informazione e offre un servizio, non un cazzeggio, nota polemica #9), ma questo avverrà solo tra qualche tempo, quando il mezzo potrà garantire un minimo di redditività (i contratti unici o da casta che siano non si pagano con le pacche sulle spalle  o i retweet.  nota polemica #10).

E ai talebani di Twitter che sostengono come il caso della morte di Scalfaro abbia decretato la morte delle agenzie e del giornalisti, dico, beh…sbrigatevi. Siete in ritardo per un funerale. Perchè sempre Twitter stamattina ha decretato la morte della cantante Adele. Che invece è viva e vegeta. Ma come, non avete verificato?

UPDATE 1  La verifica è avvenuta effettivamente su Twitter, grazie al giornalista Vasco Pirri @vascopirri dell’agenzia Italpress (che apre alle 10,00 però la domenica). Ma lui da bravo cronista ha fatto comunque il suo.  Care aziende editoriali, svegliatevi e sfruttate ‘sto mezzo!

UPDATE 2

Franco Bomprezzi mi segnala che su Skytg24 la news è stata attribuita genericamente a Twitter, o poi a De Bortoli. Questo secondo me è sbagliato,  prima verificare.

UPDATE 3

Simone Spetia ci spiega in un commento come è andata e rende ancora più chiaro come possa essere utile per un giornalista di oggi stare davanti ai tweet CON CRITERIO.

“Ti ringrazio per il giudizio lunsighiero. Però ho fatto una cosa diversa: ho pesato la qualità della fonte e quella della fonte che l’ha girata. Non solo per l’affidabilità di @nomfup, ma anche per il ruolo del patron del blog e per quello attuale di Gambino. Alla fine mi sono deciso e nel GR delle 9 ho detto che uno stretto collaboratore di Scalfaro aveva twittato: “……” aggiungendo che avremmo cercato conferme. Ma anche questo è stato un lavoro giornalistico, di conoscenza e di collegamenti tra le cose. Quindi sono perfettamente d’accordo con te”

UPDATE 4

In questo pezzo de  La Stampa.it vengono dati i tempi dettagliati, lo spread tra tweet e notizia ufficiale si allarga ancora http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/440344/

L’UNIONE FA LO SCONTO

Corriere della Sera, 26 febbraio 2011 

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Dacci oggi il nostro affare quotidiano. E’ la preghiera che i consumatori rivolgono alla Rete, perché la cena al ristorante, l’abbonamento a una rivista o una seduta dall’estetista non si trasformino in lussi sporadici, o peggio, in ricordi sbiaditi dei tempi pre-crisi. E il web risponde, puntuale, alle esigenze di chi è disposto a spendere ma non troppo e ora può contare sull’ultima frontiera dell’e-commerce: i gruppi di acquisto online, siti che offrono l’opportunità di usufruire di sconti fino al 70% su servizi e prodotti di ogni tipo.

Il settore in questi ultimi mesi ha registrato una crescita sorprendente, tanto da attirare l’interesse dei colossi della Rete. Negli scorsi giorni, infatti, Facebook ha lanciato lanciato Deals, applicazione che consente di approfittare di promozioni e offerte di aziende e griffes. E anche Google sarebbe pronta a buttarsi nella mischia con una propria piattaforma, dopo aver fallito l’approccio a Groupon, considerato il capostipite dei gruppi di acquisto online e per il quale Big G aveva pronti sul piatto 6 miliardi di dollari.

I navigatori a caccia di affari hanno davvero l’imbarazzo della scelta: oltre che su Groupon e su Deals, possono contare su Tuangon, Poinx, Groupalia, Prezzofelice, Glamoo, KgbDeals. Ogni giorno la homepage di tutti questi siti diventa una vetrina di un paio di proposte a prezzi stracciati. Esempi? Un soggiorno di due notti per una coppia in una baita sulle Dolomiti a 99 euro anziché 240. L’abbonamento a due mensili dedicati ai viaggi e all’arredamento a 34 euro, con un risparmio del 60%. Un pacchetto benessere con massaggio incluso a 35 euro, con uno sconto del 70%. Una cena al ristorante a 18 euro, quando il prezzo pieno si aggira sui 40. C’è spazio anche per l’hi-tech: un netbook di fascia media viene proposto a 254 euro contro un costo iniziale di 329 mentre uno smarpthone con wi-fi – prezzo base di 299 euro – passa a costarne 234.

Il principio che consente a questi siti di offrire simili ribassi è lo stesso su cui si basano i gruppi di acquisto solidale nati alla fine degli anni Novanta: l’unione fa lo sconto. Venti famiglie riescono a spuntare un prezzo più basso facendo la spesa insieme. Groupon e gli altri hanno applicato il concetto al web, trasformandosi in intermediari tra consumatori a caccia di affari e aziende che, per motivi diversi, offrono e-coupon, ossia buoni virtuali per comprare prodotti e servizi a un costo ridotto, purché si raggiunga un certo numero di acquirenti. Se questo avviene, la promozione diventa attiva e altri potranno approfittarne, all’interno di una finestra temporale compresa tra le 24 e le 48 ore. Se invece non viene staccato un numero minimo di e-coupon, l’affare salta: chi si era già messo in lista per comprare non perderà un euro ma resterà a bocca asciutta. Ecco perché gli utenti interessati ad acquistare con il supersconto incentivano altri amici ad aderire all’offerta, tramite il passaparola online. Un comportamento premiato dagli stessi portali: la maggior parte, infatti, propone un ulteriore ribasso a chi porta un altro potenziale acquirente nel club. “Le aziende- spiega Riccardo Mangiaracina, responsabile dell’osservatorio e-commerce del Politecnico di Milano – usano gli e-coupon a fini promozionali o per riempire momenti di basso consumo mentre il guadagno dei portali è rappresentato da una percentuale sul prezzo di vendita”.

Altra peculiarità di questa forma di e-commerce è il legame con il territorio. Le offerte sono articolate per città, all’insegna del concetto: se l’affare è più vicino, conviene di più. A chi compra, perché l’acquisto non sempre si perfeziona in Rete e generalmente è il cliente a doversi presentare in loco per ritirare il prodotto o fruire del servizio, che sia un corso di pittura o una seduta dall’estetista. Ma il vantaggio è anche per chi vende: un ristorante, un parrucchiere, una pasticceria possono usare il web per conquistare il cliente dietro l’angolo, quello più facilmente fidelizzabile. Oppure, per farsi trovare e attirare il visitatore di passaggio, attraverso le applicazioni per dispositivi mobili sviluppate da alcuni dei portali, come Groupon, Glamoo e Groupalia, che trasformano iPhone e simili in bussole del risparmio. E proprio la geolocalizzazione è il tratto distintivo di Facebook Deals, che permette di visualizzare su una mappa una serie di luoghi nelle vicinanze dove c’è un’offerta attiva. Basterà raggiungerli e fare “check in” per guadagnarsi il diritto allo sconto.

Elvira Pollina

ECCO COME E’ ANDATA AGLI ALBANESI SBARCATI VENT’ANNI FA

 

da Sette, 17 febbraio 2011

 Bari, 8 agosto 1991. Di fronte al vecchio stadio Della Vittoria è un via vai diautobus. Non c’è nessuna partita, l’impianto è chiuso da tempo. Eppure i pullman scaricano migliaia di uomini, donne e bambini. Sono albanesi sbarcati qualche ora prima dalla nave Vlora. In tutto ventimila persone, portate lì per poi essere rimpatriate. Non tutti però seguiranno questo destino. Qualcuno riesce a fuggire e a costruirsi una nuova vita, qualcun altro – rimandato in Albania – non si arrende e prova a tornare. Altri, inaspettatamente, trovano una nuova famiglia. Vent’anni dopo, abbiamo rintracciato chi a bordo di quella nave è arrivato in Italia. Queste sono le loro storie, intrecciate con quelle di un Paese che fino ad allora l’America l’aveva sempre cercata e che quella mattina di agosto, all’improvviso, si scoprì terra promessa.

ELVIS E ALFO’, AMICI PER LA MOTO  Elvis non era mai stato in uno stadio. Quando ci entrò per la prima volta aveva 9 anni e addosso solo un paio di pantaloncini. Sulla Vlora c’era salito lanciandosi da una gru, per raggiungere il padre e le due sorelle che erano già a bordo. E insieme a loro, una volta sbarcato, viene portato alla vecchia Arena di Bari. I poliziotti di fronte ai bambini chiudono un occhio e permettono a Elvis e ad altri ragazzini di uscire a giocare nel piazzale. E lì, davanti ai cancelli dello stadio della Vittoria, lo sguardo del piccolo si incrocia con quello di Alfonso Gallo, uno dei pochi baresi accorsi a vedere cosa stesse succedendo. “Non parlava italiano ma mi fece capire che cercava una sigaretta. Gli chiesi se voleva salire in moto e andare a mangiare qualcosa” ricorda il signor Gallo, che allora aveva 28 anni ed era padre di una bambina. Elvis capisce al volo: monta in sella e si aggrappa stretto ad Alfonso. In due minuti sono a casa. Una casa vera. Doccia e taglio di capelli, una scorpacciata di frutti di mare, arrivati direttamente dalla pescheria di nonno Vincenzo. Poi tappa in merceria per un completino: maglietta, calzoncini, sandaletti. Due ore passano veloci: bisogna tornare allo stadio. Ma quando il papà di Elvis vede il figlio sorridente e vestito a nuovo prega Alfonso di tenerlo con se’, convinto che la sua vita sarebbe stata migliore. Raccontando di quel dialogo tra padri, fatto più di gesti che di parole, la voce di Alfò si rompe. “Ho sentito le braccia che mi si spezzavano, come potevo dire di no?”. Oggi Elvis vive in provincia di Udine ma parla con lo stesso accento di Antonio Cassano, che ha incrociato più volte nei vicoli di Bari Vecchia. “Nell’azienda agricola dove lavoro gli immigrati mi sfottono e mi chiamano terùn” spiega sghignazzando. “In effetti io Bari la sento proprio la mia città”. E Alfò è il suo secondo padre. “Sono rimasto da lui per anni: ero il cocco di casa, non mi è mai mancato nulla”. I soldi che Alfonso prendeva dai servizi sociali li mandava in Albania, alla famiglia di Elvis. Che alla fine degli anni Novanta riesce a trasferirsi in Italia, in Friuli. Elvis li raggiunge. Ma ogni scusa è buona per tornare da Alfonso e da nonno Vincenzo. E fare una corsa in moto, respirando l’aria di mare. Anche adesso, che si è sposato ed è diventato papà. “So che ho sempre la mia stanza che mi aspetta”.

GAZMIR E UNA VITA ATTACCATA A UNA CIMA“O babbo, ma tu ci racconti le barzellette!” Quando Gazmir ricorda ai suoi due bambini che è arrivato in Italia in mutande, loro reagiscono così. Gazmir non si scoraggia. E spiega, paziente, ai due figlioli, – come li chiama lui, con perfetto intercalare fiorentino – che se vivono in un bella casa a Borgo San Lorenzo è grazie a un tuffo da un gommone. Quello che gli ha permesso di sfuggire ai controlli mentre lo scafo puntava dritto verso le coste pugliesi. “E sono rimasto davvero in mutande, ho perso tutti i vestiti in acqua!”. Ci aveva provato già dieci volte ad arrivare in Italia. Niente da fare: sempre rispedito indietro. Il primo tentativo fu proprio con la Vlora. “Era già lontana dal molo, sono salito a bordo afferrando una cima” racconta Gazmir, che allora aveva 18 anni, era rimasto senza lavoro e non aveva nulla da perdere. A Firenze aveva un fratello che lo aspettava. Invece dal portò finì dritto allo stadio, dove per tre giorni ha dovuto conquistarsi pane e acqua. “ Lanciavano i viveri da una gru. Sotto c’eravamo noi, pronti a tutto pur di agguantare qualcosa”. Tre giorni da incubo, in cui l’unica legge era quella della giungla. Poi il ritorno forzato in Albania. “Ma non mi sono arreso, e nel 1997 sono riuscito ad arrivare in Toscana”. Ora fa l’artigiano edile e aspetta la cittadinanza italiana. “Lo faccio per loro – sorride, indicando i figli – anche se dicono che racconto bischerate”.

LA CORSA DI EVA Racconta Eva che quando a Durazzo si sparse la voce di una nave in partenza per l’Italia, lei stava già correndo per salirci sopra, trascinando per un braccio il marito Meki. “Non scappavo dalla miseria, in fondo la mia era una famiglia fortunata. Anche se io, laureata in economia, non riuscivo a trovare un lavoro”. Ma l’Albania per Eva era diventata una prigione. “Quel regime nessuno osava criticarlo apertamente. Per me scappare era rompere un tabù, manifestare apertamente quell’odio che covavo in silenzio”. L’odore e il rumore di quel viaggio le sono rimasti dentro. Come le è rimasta dentro la solidarietà che si respirava a bordo della Vlora. Tutto cambia una volta arrivati al porto e peggiora dentro lo stadio, quando si scatena la lotta di tutti contro tutti . “E’ come se avessi potuto assistere all’evoluzione umana nell’arco di poche ore: bastarono qualche bottiglietta d’acqua e qualche panino lanciati a casaccio dai poliziotti per trasformarci da compagni uniti nella stessa sorte a nemici in lotta l’uno con l’altro per la sopravvivenza”: Eva e Meki passano una notte a dormire sulla gradinate. “Poi qualcuno disse che c’erano degli agenti che lasciavano passare le donne”. Anche in questo caso è Eva a prendere il marito per il braccio e a trascinarlo fuori. Ora vivono a Bari, lavorano e hanno una splendida bambina di 9 anni. “Lei è la mia vittoria” ripete Eva. Era rimasta incinta pochi mesi dopo il suo arrivo in Italia. Una gravidanza extrauterina. “Mi operarono per salvarmi la vita ma mi chiusero le tube, senza dirmi nulla”. Lo scopre dopo qualche anno ed è uno shock. Con Meki decide di tentare la via dell’inseminazione artificiale per avere un figlio. “Forse pensavano di farmi un favore, impedendomi di averne” dice amareggiata. Basta la voce di Clea a farle tornare il sorriso e la voglia di lottare. “Su quella nave ci salirei mille altre volte. Anzi, sarei pronta a riprenderla anche adesso”.

BASKET: IL RITORNO DI DAN, IO COME ELVIS NON PASSO DI MODA

di Elvira Pollina ( da ansa.it, 4 gennaio 2010)

Dalla pratica per la pensione alla tensione della partita. Nessuno osi chiamarlo traghettatore, concetto chiarito con il piglio di sempre: ”Io sono qui per vincere e sputare sangue’‘. Dan Peterson debuttera’ per la seconda volta sulla panchina dell’Armani Jeans Milano con una carica di energia che l’eta’ non e’ riuscita a prosciugare.

Domenica compira’ 75 anni. Troppi? Non certo per lui: ”Sono nato un anno dopo Elvis, e mi pare che lui sia ancora di moda”. Alla guida di Milano ha vinto tutto, eppure domani l’emozione si fara’ sentire. ”La mia fortuna e’ avere la pressione bassa, e’ per questo che mi chiamano il ‘nano ghiacciato”’.

In realta’, l’adrenalina ha cominciato a scorrere veloce gia’ dopo la chiamata ricevuta ieri mattina dal presidente Livio Proli, reduce da una notte insonne dopo l’orrido derby con Cantu’. Peterson stava andando all’Enpals per risolvere un problema con la sua pensione ma la giornata ha preso una piega diversa. ”Come stai coach?”, ha chiesto il presidente dell’Armani. ”Sicuramente meglio di voi”, ha risposto con la solita ironia. Poi l’invito a pranzo e la proposta.

”Non potevo dire di no a due nomi come l’Olimpia e Armani”. Cosi’ ha seguito il suo istinto, o meglio, ”il richiamo della foresta” che lo ha convinto ad andare oltre il rischio di diventare un bersaglio di una stagione nata storta. E’ vero che gli anni da commentatore televisivo gli hanno fatto ”tenere la pagaia nell’acqua”, ma a bordocampo e’ tutta un’altra storia.

”Potevo starmene in casa col telecomando in mano, cantare ogni tanto qualche canzone” e invece domani riprendera’ da dove aveva chiuso nel 1987, di nuovo a guidare l’Olimpia, ancora contro Caserta. ”L’emozione da debuttante l’ho sentita gia’ ieri: Proli mi deve almeno una notte di sonno”, ha detto Peterson che ha incontrato la squadra nel pomeriggio mentre i suoi ”vecchi giocatori”, da Meneghin a Pittis, gli hanno telefonato per fargli gli auguri.

”Non faro’ rivoluzioni, sono l’antiterremoto”, ha assicurato. E Proli ha annuito: ”Non ci sara’ nessun taglio, tutti i dodici giocatori – Finley compreso – sono a disposizione del coach”. Avranno tempo qualche partita per dimostrare quello che valgono e, se sara’ necessario, la societa’ e’ pronta a fare il suo, tornando sul mercato. Bastera’ Peterson a rivitalizzare una squadra apparsa smarrita nelle ultime uscite? ”Sono pronto a lottare come un pazzo”, assicura lui. Due gli imperativi: fare le cose semplici e non sottovalutare nessun avversario. Anche il pubblico deve fare la sua parte, come durante il ciclo d’oro degli anni ’80. ”L’energia che ci davano i tifosi era un vantaggio enorme e spero che siano in tanti a sostenerci gia’ da domani”.

Un invito che condisce con una promessa delle sue: ”Vedranno quello che vogliono, ovvero una squadra che sputa sangue”. A Bucchi mancavano feeling con l’ambiente e capacita’ di comunicare. Peterson, invece, come comunicatore non ha rivali. ”Ora devi dirci cosa stavi andando a fare all’Enpals”, ha chiesto un cronista. Fulminante la risposta: ”Sai, per avere la pensione servono 20 anni di lavoro e io ne ho 19…infatti, appena Proli mi ha fatto la proposta, gli ho detto ‘si’, ma con l’Enpals!”’

Europa – La politica vista da Milano

Dallo scorso gennaio scrivo come corrispondente da Milano per il quotidiano politico Europa, l’organo di stampa del Partito Democratico. Per il Pd Milano è un territorio ostile: il centrodestra governa la città ininterrottamente da 15 anni. Qui, dove Tangentopoli ha messo fine alla Prima Repubblica sono nati Berlusconi e il berlusconismo. Qui, nella città dove gli immigrati costituiscono il 20% della popolazione residente, ha acquisito un spazio via via maggiore il pensiero leghista. Qui,  il Pd sta cercando faticosamente di trovare una strada che possa essere un’alternativa reale ad un sistema di potere ormai ben consolidato. Di tutti questi temi potete leggere nei pezzi pubblicati durante questi mesi. Di seguito, i link.

11 novembre 2010

3 settembre 2010
21 agosto 2010
30 marzo 2010
2 aprile 2010
19 marzo 2010
4 marzo 2010
18 febbraio 2010

9 febbraio 2010
30 gennaio 2010

Corriere.it – Scienze e Tecnologia

 

Sveglia amara per gli utenti dell’iPhone                                           (Corriere.it, 1 novembre 2010)

MILANO – Il ritorno all’ora solare ha creato qualche problema all’iPhone. E a quanti hanno l’abitudine di usarlo come sveglia. Il dispositivo di Apple, infatti, nella notte tra il 30 e il 31 ottobre, ha portato correttamente indietro di un’ora le lancette del proprio orologio. Cosa che, invece, non è avvenuta per la sveglia ricorrente. Risultato: questa mattina l’allarme è suonato un’ora dopo, causando innumerevoli ritardi al lavoro nei Paesi europei, come l’Inghilterra, dove oggi buona parte degli uffici sono aperti. Ma anche in Italia gli utenti si sono accorti della stranezza.  >>> continua a leggere

Dall’Italia a Shanghai senza guidatore                                               Il team italiano vince la sfida                                                                                                                              (Corriere.it, 30 ottobre 2010) 

 MILANOErano partiti a luglio dall’Italia. Sono arrivati a Shanghai due giorni fa, nel pieno rispetto della tabella di marcia. Il team di VisLab, lo spin off dell’Università di Parma, ce l’ha fatta: i quattro camioncini arancioni, alimentati ad energia solare, hanno percorso i 15mila lunghissimi chilometri che separano la Cina dall’Italia. Senza guidatore. Un’impresa che sembra incredibile e che è invece è il frutto del lavoro di un gruppo di ricercatori italiani, capitanati dal professor Alberto Broggi, che per il loro progetto hanno ricevuto un finanziamento di 1,7 milioni di euro dal Consiglio Europeo delle Ricerche. I quattro furgoncini-prototipo hanno superato brillantemente la prova. Grazie alle videocamere intelligenti e a una serie di sensori sono arrivati puntuali all’appuntamento con la chiusura dell’Expo di Shanghai. Il tutto senza l’ausilio di strumenti per la localizzazione: niente mappe o navigatori. >>> continua a leggere

Ecco lo smartphone targato PlayStation                                (Corriere.it, 27 ottobre 2010)

MILANO – Dopo mesi di voci e anticipazioni non confermate, sembra essere davvero arrivato il momento di uno smartphone targato PlayStation. A pubblicarne per primo le foto del dispositivo, pensato per chi ama videogiocare in mobilità, è stato il blog Engadget. Nessuna certezza sulla data di uscita, mentre con buona probabilità il PlayStation Phone funzionerà grazie al sistema operativo Android 3.0.   >>> continua a leggere

SuperMario, un quarto di secolo di salti                                        (Corriere.it, 13 settembre, 2010)

MILANO – Venticinque anni di avventure, tra salti sulle tartarughe e funghetti «allunga vita», per salvare dalla grinfie del cattivo Bowser l’amata principessa nell’agognato livello finale. Super Mario Bros., il videogioco più venduto della storia con oltre 40 milioni di copie vendute, veniva presentato al pubblico il 13 settembre 1985, esattamente venticinque anni fa. Una data che ha segnato l’inizio dell’esplosione a livello mondiale della mania per Mario, il protagonista di una tra le saghe più longeve della storia dei videogames. >>> continua a leggere 

Wikileaks, venti di rivolta contro Assange                                        (Corriere.it, 7 settembre 2010)

MILANO – C’è maretta a WikiLeaks, l’organizzazione che tramite il web diffonde notizie top secret e che nelle ultime settimane si è guadagnata l’attenzione dei media ufficiali grazie alla diffusione di 77 mila documenti sulla guerra afghana, su cui sono arrivo altri 13 mila files riservati, oltre che del dossier giudiziario sul cosiddetto mostro di Marcinelle Mark Dutroux. Una parte dei membri che contribuiscono al funzionamento della macchina del sito ha scaricato il suo portavoce, l’australiano Julian Assange, fondatore, volto e mente dell’organizzazione, accusato di stupro in Svezia. Accuse che Assange si è limitato a liquidare come frutto di una torbida manovra del Pentagono per screditarlo e impedirgli di ottenere la cittadinanza in Svezia, la cui legislazione prevede un’ elevata tutela della libertà d’informazione che gli permetterebbe di difendersi dalla giustizia americana. >>> continua a leggere

Sfide

Ognuno ha la sfida da vincere, a Milano. I tre stranieri abbarbicati da 17 giorni sulla Torre dell’Ex Carlo Erba provano a far capire che avere un lavoro in Italia per poter essere nella legalità non basta e che molti si sono approfittati proprio del loro desiderio di poter vivere alla luce del sole.

I frequentatori del centro fitness a due passi (ma proprio due) dalla Torre che spunta come un fungo dal marciapiede di via Imbonati, unico residuo di un passato industriale lontano anni luce, provano a scolpire meglio il loro corpo, lavorando sugli addominali in vista delle vacanze natalizie, dove dovranno affrontare inevitabili abbuffate.

La metropoli è il luogo delle contraddizioni e i testi di sociologia urbana lo spiegano bene. Ma guardare con i propri occhi quegli uomini a 40 metri di altezza e sbirciare i movimenti di quegli altri attraverso le vetrate della palestra fa effetto.

Due mondi, a due passi l’uno dall’altro, che nemmeno si conoscono. “Ma cos’è che vogliono questi?” chiede un ragazzo, tuta e borsa a tracolla, prima di sparire dietro le porte scorrevoli del centro. Quelli lassù lo urlano da due settimane, con un megafono.  Non basta per farsi ascoltare.

Gli angeli volano sulla ali della crisi – Il Mondo, 25 giugno 2010

In tempi di crisi scommettere su imprese innovative è meno rischioso che puntare sui mercati finanziari. La community dei business angel italiani ne è convinta. “In momenti d’incertezza come questo i leader di mercato s’indeboliscono e c’è più spazio per le new entry” spiega Lorenzo Franchini, managing director di Iag (Italian Angel for Growth) il gruppo più consistente all’interno di Iban ( Italian business network association), che raccoglie gli investitori informali italiani. Quelli cioè che giocane una parte del loro portafoglio su start up innovative, cui forniscono risorse per intraprendere o proseguire la propria attività di sviluppo. Secondo una ricerca di Iban relativa al 2009, l’ammontare delle risorse investite, che supera la cifra dei 31 milioni di euro, ha subito una leggera crescita rispetto l’anno precedente (+1,2%).

 “C’è stata una riduzione delle somme investite in ciascun progetto, compensata però dal fatto che, proprio per ridurre i rischi, molti hanno diversificato, lanciandosi in investimenti comuni” osserva il presidente di Iban Paolo Anselmo. Quali sono i settori in cui gli angel stanno concentrando le loro attenzioni in questo momento? A farla da padrone è il med-tech, ovvero l’area legata allo sviluppo di strumentazioni diagnostiche, che nell’ultimo anno ha conosciuto un vero e proprio boom, attirando il 27% dei finanziamenti, grazie alla promessa di sbarco sul mercato in tempi brevi. Seguono i servizi per le imprese (18%), il settore manifatturiero-industriale (17%) mentre l’Ict e internet pagano una certa saturazione e insieme raccolgono appena il 14%.

Ma qual è l’identikit del business angel nostrano? I profili sono diversi. C’è l’ ex manager in pensione che vuole mettere a frutto la propria esperienza investendo nel settore in cui ha lavorato per anni. C’è l’ imprenditore che ha beneficiato di plusvalenze consistenti dalla vendita della propria azienda e cerca di “restituire” al mercato parte della sua fortuna investendo in progetti giudicati meritevoli e potenzialmente profittevoli. Ci sono dirigenti e consulenti tuttora in attività che desiderano sfruttare le competenze maturate un determinato ambito.

 Il tratto comune è una disponibilità finanziaria che si attesta attorno al milione di euro. La parte destinata all’angel investing si aggira attorno ai 150-200 mila euro. “Si tratta di cifre non elevatissime, che però sono d’importanza vitale per le aziende in via di sviluppo” osserva Anselmo. Investimenti a cui si aggiunge un aiuto in termini di consulenza manageriale e di conoscenza del mercato, oltre che un patrimonio di contatti nei diversi settori, elementi di cui spesso le start up sono prive. Ed è questa partecipazione alla definizione della strategia aziendale il contributo forse più prezioso che i business angel offrono alle imprese in via di sviluppo. Ne è fortemente convinto Antonio Leone, 68 anni, alle spalle una carriera nel settore farmaceutico che lo ha portato a ricoprire, tra l’altro, la carica di amministratore delegato di Kontron-Roche. Leone è entrato nella community di Iban lo scorso anno e, come una macchina di guerra, ha valutato 300 progetti arrivati sulla sua scrivania. Ma per il momento ha concretizzato soltanto un investimento, puntando su Xeptagen, azienda del parco scientifico tecnologico di Venezia, che sta mettendo a punto una serie di strumenti per la diagnosi precoce del cancro. Le altre realtà in cui sta valutando un’ entrata – 5 in tutto– sono sempre nell’ambito delle tecnologia medicale. “E’ il campo in cui ho lavorato una vita e in cui riesco a valutare più facilmente le potenzialità di un prodotto o un’idea”spiega Leone, sicuro che la scelta di investire da parte di un business angel esperto di settore possa essere un buon biglietto da visita per attirare altri finanziatori. Punta sul med-tech anche Lorena Capoccia, 51 anni, una carriera di manager nel settore degli impianti industriali, ora alla guida dell’azienda di famiglia. Entrata nel mondo dell’angel investing un anno e mezzo fa, ha un finanziamento all’attivo e un altro in fase di definizione. Per lei è fondamentale fare interiorizzare il business plan, che spesso rischia di rimanere sono sulla carta. “Scelgo d’impegnarmi solo se si stabilisce che posso dire la mia sulla parte gestionale” spiega.

Risale a tempi meno recenti – era il 2006 – l’entrata nel network Iban di Valerio Caracciolo, 52 anni, attuale amministratore delegato di AgriPower, azienda inserita nel business delle biomasse, con una lunga carriera imprenditoriale alle spalle oltre che una parentesi nel settore del non profit. “Sono interessato soprattutto all’originalità” racconta Caracciolo, finanziatore di Lisa Airplanes, start up francese che sta per lanciare sul mercato un modello di aereo ultraleggero in fibra di carbonio capace di decollare e atterrare sull’acqua. “Devo dire che finora sono stato fortunato, perché nessuno delle aziende cui ho partecipato è fallita” ammette. Un dato di cui andare orgogliosi, se si pensa che la percentuale d’insuccesso, ovvero di perdita parziale o totale, stando ai dati forniti da Iban, nel 2009 si è attestata al 27%. Per abbassare il rischio la strategia prediletta dagli angel investor è l’impegno in prima persona nella gestione aziendale. E’ la strada scelta da Antonello Saccomanno, 42 anni, consulente aziendale che si è avvicinato al mondo della ricerca e sviluppo attraverso una serie di collaborazioni con spin off dell’università di Salerno. Finché nel 2008 non ha scelto di finanziarne uno, Spring Off, che ha creato un ammortizzatore intelligente. C’è chi è entrato nel club proprio quando i mercati finanziari venivano squassati dalla crisi, come Lorenzo Podestà, uno dei pionieri di internet in Italia, angel di Biogenera, start up che ha messo a punto una molecola per il trattamento dei tumori pediatrici. Ancora più recente l’entrata di Giandomenico Sica, che a soli 28 anni, dopo aver creato Polimetrica, casa editrice di libri scientifici e universitari, ha deciso di trasformarsi in angel. Sta valutando una serie di proposte, ma non ha ancora deciso. “Quello a cui presto attenzione – dice, parlando da veterano – sono le scelte fatte per mettere in moto l’idea. E’ da lì che si capisce se nel team c’è la stoffa per sfondare”.

Elvira Pollina

Il Mondo, 25 giugno 2010, pdf

QUI IL CAPO E’ UN INCAPACE, MEGLIO UN ALTRO POSTO, Il Mondo, 21 maggio 2010

 

Negli Stati Uniti sono da tempo il punto di riferimento per chi sta cercando un impiego o vuole cambiarlo: Vault, Jobvent e Glassdoor sono spazi online in cui i dipendenti delle imprese valutano il loro ambiente di lavoro, offrendo uno spaccato della vita interna dell’azienda e rendendo pubblici i loro stipendi e le loro mansioni. Ora il fenomeno arriva in Italia, grazie a Sopo (www.sopo.it ) e Lavoriamoci Su (www.lavoriamocisu.it  ), entrambi in Rete da pochi mesi ma già con un buon seguito di utenti. Si tratta di due siti su cui ognuno può dare, in maniera anonima, un voto alle propria situazione lavorativa in base a una serie di parametri: dal rapporto tra impegno richiesto e vita privata alle possibilità di carriera, dai benefit alle capacità del management. E poi esprimere un giudizio sintetico. Il risultato sono delle classifiche sul livello di qualità della vita nelle varie aziende, aggiornate in tempo reale e visibili a tutti.

Fino ad oggi questo tipo d’ informazioni sul web italiano si poteva trovare all’interno di forum di settore e blog. “Noi cerchiamo di offrirle in maniera strutturata” spiega Chiara Parisi, 31 anni, human resource manager presso una multinazionale italiana , e ideatrice , insieme al fratello Stefano, di Sopo, portale nato grazie ad un finanziamento a fondo perduto che la Regione Puglia ha assegnato nel 2008 a una serie di progetti imprenditoriali messi in piedi da giovani al di sotto dei trent’anni.“Tutto è partito dalla constatazione che negli annunci e nei colloqui di lavoro l’impresa tende ad offrire ai candidati una certa immagine di se’, di cui spesso non c’è riscontro tra i dipendenti” racconta Stefano Parisi. La verità, quindi, è che, condizioni contrattuali a parte, entrare in un’ azienda spesso è un vero proprio salto nel buio. Ecco, dunque, la ragion d’essere di questi portali: offrire una panoramica della vita interna dell’impresa, ospitando il punto di vista di chi ne fa parte, secondo la logica della trasparenza.

Ma c’è la possibilità che il ranking venga in qualche modo condizionato dalle stesse imprese? “Falsificare la realtà aziendale è estremamente difficile” assicura Manuela Magnoni, responsabile marketing di Lavoriamoci su, portale di proprietà della società emiliana Dot Company, specializzata nella creazione di piattaforme web, online dal febbraio dell’anno scorso. “Noi permettiamo alla nostra community di commentare i giudizi: gli utenti stessi possono chiedere conto di una valutazione che non è in linea con la loro esperienza diretta o con la posizione in classifica dell’impresa” aggiunge Magnoni. Sopo, invece, è dotato di un algoritmo che blocca i commenti in odore di spamming: le recensioni fotocopia che arrivano dallo stesso indirizzo Ip a distanza di pochi minuti non vengono pubblicate.

La sfida di questi portali, entrambi in fase di start-up, è sviluppare un proprio modello di business mantenendo l’ indipendenza dal mondo aziendale. “Nella nuova versione di Lavoriamoci Su le imprese potranno acquistare uno spazio, usandolo per dialogare con gli utenti, illustrando le misure messe in atto per superare le criticità o inserendo annunci di lavoro” spiega Magnoni. Qualcosa di simile farà anche Sopo, che però pensa anche di sfruttare i dati raccolti per stilare dei report per settori o aree geografiche e di venderli, sul modello di quello che fa il portale americano Vault. E le aziende, come reagiscono quando si vedono messe a nudo su web? Da entrambi i portali raccontano di telefonate con cui si chiedeva di rimuovere una recensione non gradita. Qualcosa che – assicurano i responsabili dei siti – non è prevista, a meno che i commenti non violino il codice etico e le regole di condotta . Per farla breve, la rimozione scatta solo se nel commento si usano termini offensivi o si scade nell’insulto personale, e non perché la valutazione assegnata all’impresa non supera la sufficienza.

Lecito domandarsi, però, se in un periodo in cui l’offerta è ridotta ha senso parlare di qualità del lavoro. “Con la crisi le imprese hanno il coltello dalla parte del manico, ma è bene ricordare che le opportunità d’impiego ci sono, anche se inferiori rispetto a qualche anno fa” osserva Maurizio Gamberini, direttore di Trovolavoro.it. Insomma, con la dovuta prudenza, chi ha un impiego si guarda attorno e se può cerca di meglio. E in questo senso secondo Gamberini sono soprattutto le imprese di medie dimensioni che potrebbero sfruttare il flusso comunicativo innescato dai portali di job ranking. “Spesso in realtà aziendali non molto conosciute si offrono condizioni di lavoro soddisfacenti, che però restano nell’ombra e che invece questi portali potrebbero contribuire a mettere in luce” spiega il direttore di Trovolavoro.it.

“Per le aziende si tratta di un’enorme opportunità: l’importante è saperla cogliere” conferma Eugenio Amendola di Anthea Consulting. Amendola è uno dei massimi esperti italiani di employer branding, ovvero quella branca del marketing che fa del dipendente una leva nella costruzione del marchio aziendale. Che passa, oggi, anche attraverso l’attenzione verso portali come questi “capaci di veicolare informazioni dotate di enorme credibilità negli utenti perché frutto di una comunicazione informale non guidata” spiega Amendola. L’errore più grande, dunque, è far finta di niente. “Negativi o positivi che siano i commenti vanno monitorati, e vanno cercate forme d’interazione con la community per beneficiare dei giudizi positivi o spiegare il proprio impegno per ovviare a una situazione sfavorevole” .

Elvira Pollina

Il Mondo, 21 maggio 2010, pdf

SE I MEDIA DIVENTANO UN CONFESSIONALE DEL GF

Si dice che la prima edizione del Grande Fratello sia stata la più bella perché è stata la più genuina. I ragazzi dentro la casa di Cinecittà erano davvero delle cavie di laboratorio, e si comportavano con estrema naturalezza.

Se erano doppi, o falsi – per usare un aggettivo che i protagonisti dei reality show usano spesso per accusarsi l’uno con l’altro – lo erano, appunto tra di loro. Come lo si è nella vita, mi verrebbe da dire, quando parte il pettegolezzo maligno sul collega non appena questi si alza per andare a pranzo.

Chi è entrato nella Casa nelle edizioni successive lo ha fatto consapevole del riscontro che il programma ha avuto fuori. E in particolare di quali comportamenti il pubblico e i media premiano e quali, invece, condannano senza appello. Ecco perché i concorrenti del Grande Fratello riescono ad essere falsi due volte: nei confronti dei loro coinquilini ma anche verso il pubblico e i mass media, che cercano di conquistare, di sedurre, assecondando quelle che sono le sue aspettative.

Se è vero che Sabrina Misseri è coinvolta in qualche modo nell’omicidio della cugina, il suo comportamento è davvero simile a quello di un personaggio da reality. Da quando è scomparsa Sarah ha fatto tutto quello che la “ggente” si aspettava da lei. Ha organizzato fiaccolate, ha lanciato appelli, ha promosso ricerche. E ha usato i media con un’abilità da fare invidia al più scafato degli addetti stampa, inviando sms ai giornalisti nelle giornate immediatamente successive all’arresto del padre e il giorno del funerale di Sarah. Per far sapere ai tg che “ il padre doveva pagare per quello che aveva fatto” e che zia Concetta “era stata una grande, perché l’aveva abbracciata nella camera ardente”. La condanna del mostro e l’assoluzione da parte della madre della vittima. Quello che il pubblico voleva sentire. Quello che i media, facendosi usare come un confessionale del Grande Fratello, hanno fatto sentire e vedere. Forse Sabrina, che aveva undici anni quando Cristina e compagni varcavano la soglia della  porta rossa, sperava nel televoto.